Su quel puntino blu: COVID 19 senza false frontiere

L’opinione del biologo – L’efficacia della quarantena

di Sandro Calvani* – Un forte senso di vulnerabilità personale e collettiva è quello che vivo al leggere ed ascoltare le notizie di questi giorni sul nuovo coronavirus influenzale, che l’OMS ha chiamato COVID 19. La stessa percezione di insicurezza e incertezza la esprimono tanti amici e colleghi con i quali nei passati decenni abbiamo affrontato guerre, epidemie e disastri immensi in ogni parte del mondo. Molti mi chiedono un’opinione da biologo quale ero prima di occuparmi di politica internazionale, sociologia e risoluzione di crisi.

Il cuore della questione sono i provvedimenti presi dalle autorità per il contenimento dell’epidemia COVID 19 all’interno di una famiglia, di una scuola, di una città, di molte nazioni che vogliono limitare o eliminare le probabilità che il virus arrivi nel corpo di ognuno di noi. In qualche modo, l’obiettivo è che ciascuno di noi diventi temporaneamente un’isola -dal punto di vista biologico- o per lo meno che lo diventino quei miliardi di organelli COVID 19 che sono in giro per il mondo. La sirena di allarme sta suonando forte tutto il giorno. Per me, che da funzionario dell’OMS e delle Nazioni Unite ho partecipato alla gestione di altre grandi pandemie, come l’HIV/AIDS in Africa negli anni ’90 e la SARS nel  sud-est asiatico nel 2003, la prima campana che suona nella mia memoria come sfondo musicale di quell’allarme è un brano famoso:

Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.[1]

Il teologo cristiano e poeta inglese John Donne descriveva così nel 1623 la minaccia -la quasi certezza- di morte che discende dalla tentazione di isolamento di una persona dal resto dell’umanità. La citazione fu poi resa molto famosa dallo scrittore americano Hernest Hemingway nel suo romanzo sulla morte “Per chi suona la campana” pubblicato nel 1940, ambientato nella guerra civile spagnola del 1936-39.

Cinquant’anni dopo e trent’anni fa, nel Febbraio 1990, la sonda spaziale Voyager 1 riuscì a scattare il primo ritratto di famiglia dell’umanità tutta intera, che vive o muore insieme, perché vive sull’unica navicella spaziale che è il nostro pianeta Terra. Il grande scienziato Carl Sagan chiamò quella fotografia The pale blue dot, il puntino blu pallido; un solo pixel blu chiaro su uno sfondo nero è come si vede la Terra da una distanza di circa 6 miliardi di chilometri. Ma la comunità di viventi è infinitamente più grande dei 7,78 miliardi di esseri umani che vivono oggi sulla Terra.
Su quel puntino blu pallido vivono – oltre alla specie umana- altre 14 milioni di altre specie di organismi viventi, secondo uno studio di biologi e naturalisti israeliani pubblicato nel 2016 dal National Centre for Biotechnology Information negli Stati Uniti[2]. Nello stesso anno, un altro studio dell’Indiana University (USA) stimava invece le specie esistenti a circa un trilione[3]. Ambedue gli studi concludono che almeno il 90% delle specie viventi sulla Terra non sono ancora state descritte. Al ritmo di lavoro degli scienziati del 2020 di circa 17.000 nuove specie descritte ogni anno, ci vorranno ancora tra 170 e 500 anni prima di averle descritte quasi tutte. Molte di queste specie viventi sono davvero molto numerose. Per esempio, i pelagibatteri negli oceani, sono circa 2,4 × 1028, cioè 24 miliardi di miliardi di miliardi. Tutte le specie viventi al mondo messe insieme pesano più di 550 gigatonnellate, cioè più di 550 miliardi di tonnellate, quindi immensamente di più di tutta l’umanità messa insieme.

La comunità scientifica, biologi, naturalisti, medici e climatologi è unanime nel dimostrare con prove abbondanti che la vita è in realtà una rete universale di relazioni di convivenza, a volte parassitaria, tra triliardi di organismi viventi. Da centinaia di milioni di anni, qui sulla Terra nessuno di loro è un’isola: se si prova a isolarne uno qualunque, che sia un batterio o un elefante, esso non può sopravvivere. La forza rigenerativa della vita su questo pianeta è una potentissima forza collaborativa tra miliardi di forme di vita.

In mezzo a questa incommensurabile e diversissima comunità di viventi ci sono anche i virus. Essi sono una struttura di RNA priva di cellule che si replica solo all’interno delle cellule viventi di un altro organismo. I virus possono infettare tutti i tipi di forme di vita, dagli animali alle piante, ai microrganismi, compresi i batteri. I virus furono scoperti nel 1892, quindi solo 130 anni fa. Conosciamo circa 5000 specie tra i milioni di specie di virus che sappiamo esistere. Batteri e virus vivono anche dentro agli organismi umani. Ci sono circa 100 trilioni di singole cellule batteriche in ogni singolo corpo umano in buona salute. Sono tutte relazioni simbiotiche e a volte parassitarie. Curiosamente, proprio nel Febbraio 2020, mentre nasceva la crisi COVID 19,  la più famosa rassegna del cinema mondiale ha assegnato quattro premi Oscar a un film coreano dal titolo “Parasite” che racconta la storia di un gruppo di persone che vivono da parassiti di altri più ricchi e più fortunati di loro[4].

Tutto ciò che vive è in relazione con il resto della vita sulla Terra e neanche morendo si rompe quella relazione, dato che gli elementi chimici che compongono la vita ritornano sempre in circolazione in un’altro essere vivente. Papa Francesco spiega così questa polifonia armonica dell’orchestra universale della vita:

Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere. Buona parte della nostra informazione genetica è condivisa con molti esseri viventi. Per tale ragione, le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà.[5]

Vi siete mai chiesti da dove viene la forza rigenerativa della vita in ogni sua forma? Da giovane ho avuto l’opportunità di partecipare a un programma di ricerca dell’International Biological Programme. Fu così che nel 1978, usando uno dei primi microscopi elettronici a scansione, durante la mia formazione post-laurea alla Colorado State University, osservai i mitocondri, le centrali di energia di ogni organismo vivente sulla Terra. Essi sono grandi poco meno di 10 micron (un milionesimo di metro) e creano l’energia necessaria per tutto ciò che vive[6]. Dovunque ci sono membrane e separazioni tra organelli viventi, i mitocondri le attraversano osmoticamente per scambiare energia e nutrienti. Se una membrana è dura o impenetrabile, la cellula muore. È dunque sempre in modo interattivo che si muove la vita dentro al piccolo puntino blu dell’Universo, cioè la nostra casa comune: dentro di essa ci sono miliardi di miliardi di miliardi di progetti di vita diversi, alcuni dei quali, come i virus e i batteri, vivono dentro di noi e altri miliardi di specie costituiscono l’ambiente circostante -senza muri- che permette la nostra vita umana.

Durante il suo sviluppo, soprattutto negli ultimi decenni di forte crescita e altissimo sfruttamento di risorse ambientali, la specie umana ha distrutto milioni di altre specie. Qualche volta le altre specie suonano un campanello d’allarme sulle prepotenze degli umani, che cambiano l’aria, l’acqua, il clima, gli oceani, le foreste. Per esempio, nel 2018, il virus A(H3N2) dell’influenza comune infettò 45 milioni di persone negli USA, causando 810.000 ricoveri in ospedale, 61.000 morti negli USA e 650.000 morti nel mondo. Ma dato che le epidemie di virus influenzale capitano quasi tutti gli anni, nessuno si allarmò, nonostante il numero impressionante di ricoveri e di morti. Invece, dopo settimane di notizie allarmate in Asia e in Europa sul COVID 19, il primo Marzo 2020 il primo morto di COVID 19 negli Stati Uniti ha causato subito una forte preoccupazione, tanto che perfino il Presidente Trump ha chiesto agli americani di non viaggiare in paesi che hanno molti altri casi accertati prima degli Stati Uniti, compresa l’Italia. In America, la nazione più potente al mondo aveva sperato di poter essere un’isola immune senza COVID 19 e appena accortasi di non esserlo, ha cercato di creare nuovi muri per diventare almeno meno affetta di altri continenti.

Allo stesso modo in Italia e in molti altri paesi si spera che qualche forma di isolamento temporaneo contribuisca a ridurre l’impatto dell’epidemia COVID 19. Gli epidemiologi offrono le ricette scientifiche efficaci in questo sforzo, le autorità le traducono in norme draconiane di igiene pubblica, chiudendo grandi reti di convivenza e interazione comunitaria come i voli aerei e le comunicazioni navali, scuole, teatri, luoghi di lavoro, supermercati, stadi sportivi e chiese. Tra gli obiettivi prioritari c’è quello di evitare che gli abitanti di un territorio specifico si ammalino tutti insieme, fatto che potrebbe causare il collasso dei servizi di salute pubblica. Fin dal tempo dei lazzaretti, nella preistoria della salute pubblica internazionale, è stradimostrato dalla scienza e dall’esperienza che i metodi di quarantena sono efficaci; essi vanno dunque accettati, rispettati e tocca a ciascuno di noi collaborare a metterli in pratica.

È anche inevitabile che i grandi disagi causati da queste strategie di contenimento provochino ansie e stress diffusi. Le reti di comunicazione online, le lezioni di scuola, le preghiere o il lavoro da casa non sembrano dare la stessa soddisfazione della mobilità e dello stare insieme. Ognuno di noi oggi ha più tempo per stare da solo e corre il rischio di sentirsi davvero isolato o schiacciato dai tanti problemi inquietanti della globalizzazione. Ma l’inquietudine, se ben orientata, è anche generatrice di felicità. Cerchiamo dunque di non perdere l’opportunità per ripensare alla vera natura retiforme della vita, per studiarne e capirne meglio qualche angoletto che ci incuriosisce di più, per scoprire un modo per riparare qualche strappo nella rete, per curare l’umanità malata nel profondo in troppe delle sue relazioni divenute conflitti, per scambiare ancora qualche nuovo abbraccio che non siano solo quelli degli emoji e ideogrammi dei social network. È cercando e tirando altre corde di altre campane che si può cambiare la loro musica, perché la campana suoni per te e per tutti a festa, superando le false frontiere tra mitocondri diversi, colori diversi della pelle, generi e generazioni diverse, ma tutte espressioni dell’energia dell’amore, della vita universale su questo piccolo puntino blu.

*Senior adviser, Mae Fah Luang Foundation, Bangkok, Thailand. www.sandrocalvani.it

 

[1] John Donne, Meditazione XVII https://en.wikisource.org/wiki/Meditation_XVII, in Devozioni per occasioni d’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 1994, pp. 112-113.

[2] Ron Sender, Shai Fuchs and Ron Milo, Revised Estimates for the Number of Human and Bacteria Cells in the Body https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4991899/

[3] Kenneth Locey and Jay Lennon, Scaling laws predict global microbial diversity, https://www.pnas.org/content/113/21/5970.abstract

[4] Apichai Sunchindah, Linking Covid 19 and Parasite, in Bangkok Post, 21 January 2020 https://www.bangkokpost.com/opinion/opinion/1862479/linking-covid-19-and-parasite

[5] Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune. Lib. Editrice Vaticana 2015, para. 138.

[6] Si veda: Powering the cell, Mitochondria, Harvard videos https://www.youtube.com/watch?v=RrS2uROUjK4

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