Pellegrinaggio a Carpi – 1 maggio 2023

Carpi, 1 maggio 2023

Si è svolto a Carpi il Pellegrinaggio del Settore Adulti, nella giornata dell’1 Maggio.
Ad accogliere gli oltre 40 partecipanti Don Erio Castellucci, Vescovo di Modena-Nonantola e di Carpi, coadiuvato da Suor Eleonora Matarasso.
Dopo un momento di riflessione/condivisione sui temi del Sinodo vissuto nel Vescovado di Carpi, la giornata è proseguita con la celebrazione della Messa nel Duomo di Carpi, con il pranzo condiviso, e nel pomeriggio con la visita del centro storico di Carpi, alla Chiesa di Santa Maria in Castello “La Sagra”, al Museo Monumento al Deportato politico e razziale.

La giornata è stata un arricchente momento di condivisione con il Vescovo Erio, e un’occasione per riflettere sui tanti spunti offerti dalla visita al Museo Monumento al Deportato politico e razziale e al centro di Carpi.

Si riporta di seguito il testo integrale dell’Omelia di don Erio.

OMELIA DON ERIO 1  MAGGIO 2023

Uno dei titoli più belli che danno a Gesù è “figlio del falegname.” Glielo danno polemicamente. “Chi pensa di essere? Non è il figlio del falegname? Noi conosciamo tutta la sua famiglia, sua madre, le sue sorelle, i suoi fratelli, sappiamo bene il suo passato.” Credo che il figlio del falegname sia una definizione che naturalmente si riferisce a san Giuseppe ma ci rimanda alla quotidianità della vita di Gesù. Noi siamo abituati a pensare a un Gesù “attivo”, perché i Vangeli non ci dicono praticamente nulla dei primi 30 anni della sua vita: solo che è stato presentato al tempio, che è fuggito in Egitto con la famiglia, che a dodici anni è scappato e che poi lo hanno ritrovato. Noi sappiamo molto della vita adulta di Gesù, degli ultimi tre anni della sua vita, ma i primi 30 anni si possono proprio riassumere in questo titolo: il “figlio del falegname”. Il figlio, cioè era dentro una famiglia. La parola “figlio” ha il sapore domestico delle relazioni immediate con i suoi genitori: questo figlio è un ragazzo tra gli altri, un giovane tra gli altri. Il figlio del “falegname” inoltre ci ricorda il lavoro: Gesù ha lavorato con suo padre Giuseppe; probabilmente ha girato anche i villaggi vicini a Nazaret. “Figlio del falegname”, pur detto polemicamente, è un’espressione che presenta Gesù incarnato nel suo tempo, nella sua quotidianità. Gesù, che per tre anni parlerà, predicherà, incontrerà persone, e farà miracoli, per i primi 30 anni ascolta. I primi 30 anni hanno il sapore domestico, gli servono per imparare l’umano. Se Gesù negli ultimi tre anni della sua vita ha potuto essere così incisivo, così innovativo e rivoluzionario, è anche perché per 30 anni ha saputo ascoltare. Il rapporto tra l’ascolto e la parola, che nella nostra civiltà molto verbosa abbiamo invertito, Gesù l’ha impostata in questo modo: dieci a uno. Trent’anni di ascolto, tre anni di parola. E questo credo che sia per noi molto provocatorio, ma è anche significativo del valore della parola. Le parole vere, quelle incisive, nascono da un lungo ascolto, sono coltivate dentro alla quotidianità. I tre anni pubblici di Gesù hanno una qualità così alta perché sono stati coltivati dentro 30 anni di vita domestica, del “figlio del falegname”, con la sua vita lavorativa, la sua vita semplice. Prima mi risuonava quel versetto del salmo che abbiamo pregato: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”; è la riscoperta del tempo come valore della quotidianità. Credo che il salmista non dicesse “Insegnaci a contarli” come una specie di countdown, quanto manca alla mia morte: c’è anche chi conta i propri giorni in questo modo, a partire dalla fine, sperando che ne manchino molti. No, il salmista si riferisce al fatto di contarli dall’inizio: è importante valorizzare tutte le esperienze quotidiane, che sono come un tesoro che mettiamo nel cuore. Noi incidiamo nel nostro cuore tutte le relazioni che abbiamo vissuto, le relazioni semplici e domestiche; noi cresciamo con la qualità che abbiamo respirato nella nostra vita: e le relazioni vere non si cancellano più, ossia quelle che ci hanno segnato e ci hanno fatto crescere. Coltivare la “sapienza del cuore” significa fare tesoro di tutto quello che quotidianamente ci ha fatto crescere. È il sapore domestico che rende eccezionale la vita. Ringraziamo il Signore, perché ci fa incontrare nella sua mensa, la mensa della parola, e rinnova il nostro desiderio di relazioni autentiche. Io lo ringrazio in particolare perché i vostri volti sono il segno di giorni che per me sono stati e sono ancora giorni autentici, giorni belli, giorni intensi; e quindi è un po’ rinnovare la sapienza del cuore anche per me oggi. E lo ringrazio soprattutto perché ci fa camminare insieme e ci aiuta a scoprire che nulla va perduto, che tutto quello che noi viviamo nella nostra esistenza domestica e quotidiana è un tesoro che rimane nel nostro cuore.

 

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