La casa, la strada, l’incontro

Se c’è una parola che rimbalza nei corridoi della Domus Mariae, è casa. Perché, come spiegato bene dal vescovo Erio Castellucci, vice presidente della Cei, l’Ac si sente a casa nella Chiesa italiana, e “casa” perché la stessa Chiesa sa riconoscere nell’Ac lo stile corretto, il contenuto stimolante, il modo di abitare fraterno i luoghi della fede e della relazione.

 

Casa di sinodalità, quella dell’Ac. Abituata a stare nelle retrovie del servizio alla comunità ecclesiale. Da Sempre. E casa di nuova accogliente e aperta, quella della Domus Mariae, che la Gioventù femminile di Azione cattolica costruì nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Aver riassaporato di nuovo quel gusto di stare insieme come in una famiglia in un luogo così fisico e pieno di passione associativa come la Domus Mariae, all’interno del convegno nazionale dei Presidenti e Assistenti diocesani di Ac partecipatissimo, è un segno e una buona notizia che mettono sorriso e ricevono benedizione.

 

Una casa che vede aggiungersi, soprattutto in questo inizio di triennio associativo, nuovi membri della famiglia. Si sono visti a Roma, tanti giovani e tante donne, quarantenni che si sono accollati il peso di responsabilità diocesane, e che hanno affollato con i loro pensieri così ben piantati nell’”oggi”, gli spazi della casa comune. Contemplare, sperare e prendersi cura non sono solo un programma di buone intenzioni per il triennio appena iniziato, ma il nuovo lessico di un impegno laicale che vede al primo posto lo spendersi per il proprio territorio, per l’Altro.

 

Perché oggi la casa dell’Ac non è solo la parrocchia o il piccolo recinto ecclesiale. In realtà questa ventata di ricambio generazionale, insieme ai tempi di crisi dettati dalla pandemia, ha voluto tratteggiare una strada in uscita per tutta l’Ac, sotto lo sguardo profetico di papa Francesco.

 

La casa e la strada, verrebbe da dire. Ovunque. Nei territori delle periferie più lontane, come nelle metropoli in crisi di spiritualità. Le buone pratiche di bene comune ed economia sostenibile, di vicinanza al disagio sociale e di tenerezza nei confronti della terza età che ha fatto fatica a digerire i tempi del Covid, sono già nel dna dell’associazione. La casa e la strada non sono antitetici. Oggi, per fortuna, vanno d’accordo. Si guardano non più a distanza e percorrono un cammino comune.

 

Questi volti giovani e sorridenti della nuova generazione post-Covid, insieme alla mitezza e saggezza di chi ha qualche anno di più, sono la prova vivente che “insieme” si va avanti, e insieme si è Vangelo. Una casa che a volte diventa tenda, altre rifugio. Una strada a volte affollata, altre solitaria. Ma da abitare insieme, da vivere insieme.

 

Se abitare la casa e la strada diventa il luogo principe per praticare relazioni amicali e civiche, l’arte e la pratica dell’incontro – che certo sconta lentezze, difficoltà e percorsi più accidentati – è la nuova via della fraternità per un’Ac che non ha paura di essere testimone di speranza per il nuovo millennio. Così, anche ricordare il giudice, ora martire e beato, Rosario Livatino, all’inizio del triennio associativo, va nella direzione di una scelta di chi vuole “esserci” in questo tempo, e non ha paura di guardare oltre, appunto, l’uscio di casa.

 

Il cammino sinodale che la Chiesa italiana si appresta a vivere avrà bisogno di una casa comune, di una strada da percorrere, come le percorrevano gli antichi pellegrini che un tempo, lungo il sentiero, sognavano i luoghi santi, e di un incontro reale tra pastori e popolo di Dio, vero, sincero, da condividere.

 

L’Ac c’è. In uscita, sulle vie del mondo. Senza lasciare indietro nessuno.

 

Edoardo Russo

 

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